Grumo Nevano, ACQUA, AMBIENTE, TERRITORI, EMERGENZA IDRICA: SERVONO INVESTIMENTI SULLE INFRASTRUTTURE

 Con Giovanni de Marinis, Ordinario di Costruzioni Idrauliche, capiamo perché in Italia un’estate di scarse piogge fa subito paura

“Il problema dell’acqua viene da molto lontano. L’Italia non ha mai avuto un vero problema di approvvigionamento idrico, perché di acqua nel nostro paese ce n’è tanta. Il bilancio idrico di tutto il territorio è positivo. Non si è però mai investito adeguatamente sulle infrastrutture idrauliche e sull’interconnessione delle risorse”. A parlare è Giovanni de Marinis, Professore Ordinario di Infrastrutture Idrauliche all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale. Se di acqua ce n’è in abbondanza, perché l’assenza di pioggia, per quanto prolungata, sembra in grado di mettere in allarme intere metropoli, come accaduto a Roma?

Cominciamo con ordine: da dove arriva l’acqua?
E’ una sorta di miracolo il fatto che se si apre un rubinetto all’ottavo piano di una casa in città arriva sempre acqua e sempre nella quantità desiderata. Dietro ci sono un’infinita tecnologia e un impegbo costante degli addetti ai lavori. Il miracolo comincia dal ciclo idrologico: cadono pioggia e neve, l’acqua si accumula nel terreno, si infiltra andando ad alimentare le falde, superficiali o profonde. Ci sono zone del territorio che ne sono più ricche altre meno. Per questo occorrerebbe portare l’acqua da dove c’è a dove manca. Ma questa interconnessione delle risorse richiederebbe di investire sulle grandi infrastrutture, cosa che dall’epoca della Cassa del Mezzogiorno, si è fatta in maniera assai limitata.

Quest’anno però ha piovuto davvero poco. Questo basta a spiegare l’emergenza?
La crisi è stata solo paventata, ora si invocano le piogge, che però non danno una risposta immediata, serve tempo perché la pioggia si trasformi in acqua buona da consumare. Possiamo dire che il sistema generale ha retto. Certo quest’anno i dati di pioggia sono stati molto inferiori a quelli degli anni precedenti. Le risorse non sono infinte, quindi è molto importante anche il risparmio idrico. In assenza davvero di pioggia si può pensare di dissalare il mare, ma si tratta di una estrema ratio perché è un procedimento molto costoso.

Proseguiamo il percorso dell’acqua. Dalle falde dove va a finire?
Immaginiamoci una sorgente, nella sua prossimità si realizza un’opera che capta l’acqua, questa viene inserita in tubi (detti opere di trasporto) che arrivano in prossimità dei centri abitati. Qui si costruiscono dei serbatoi, che garantiscono la riserva che deve soddisfare la richiesta dell’utenza che è molto variabile nell’arco della giornata. Dai serbatoi dove è immagazzinata l’acqua partono le tubazioni che sescono l’intera città, garantendo la distribuzione costante, sia come qualità sia come quantità: al rubinetto l’acqua deve sempre uscire a getto vivo. In alcune città parliamo di svariate centinaia di chilometri di tubazioni che non si sa nemmeno esattamente dove sono.

Come non si sa?
Da alcuni anni si cominciano a mappare le reti di distribuzione per capire dove si trovano, di che materiali sono fatte, in che stato sono e per progettare interventi di riparazione. Dopo 30-40 anni la tubazione presenta dei deficit come qualsiasi altra costruzione. Quello che si fa sono interventi mirati. Se si scopre che c’è una perdita concentrata in una zona, si va lì e si ripara quella falla. Gli interventi in linea di massima sono puntuali, non si investe nella rifunzionalizzazione dell’esistente. Le perdite delle reti idropotabili sono di circa il 40%, con punte talvolta superiori al 50%: è evidente che ci sono ampi margini di miglioramento.

La Legge Galli del ’94 aveva aperto la gestione ai privati. Stava a loro anche ammodernare la rete?
L’idea era quella di affidare a un unico soggetto responsabile il Servizio Idrico Integrato. In alcune zone è successo ed è andata bene, in altre molto meno. All’epoca ci fu una corsa dei gestori privati all’affidamento della gestione: si immaginava che insieme alla norma si sarebbero fatti degli stanziamenti straordinari per la rifunzionalizzazione della rete, cosa che non si è verificata. All’interno della bolletta dell’acqua, che comprende i costi della depurazione, ci sono margini che dovrebbero costituire i fondi per l’ammodernamento delle reti. Ma i margini sono ridotti, i soggetti gestori hanno difficoltà a investire.

In che stato ò la rete idrica?
Inutile negare lo stato vetusto delle tun’azione e delle infrastrutture in generale. Occorrerebbe avere la capacità di spostare le risorse con opere di dimensioni molto più grandi, dalle zone dove c’è maggiore ricchezza a quelle dove ce n’è di meno. Un esempio virtuoso di interconnessione è quello che ha per protagonista la Campania, che fornisce acqua alla Puglia, tramite l’Acquedotto Pugliese, e riceve acqua dal Lazio e dal Molise.

Quali sono le regioni con situazioni più critiche?
In Italia il panorama è molto vario. La Sicilia soffre abbastanza e poi, vista la grande domanda di acqua dei sistemi agricoli, anche alcune regioni del centro, tra cui anche il Lazio. Negli anni in alcune zone si sono avuti dei miglioramenti, in altre tutto è rimasto fermo. Ma ci sono esempi positivi sia di gestione pubblica sia di gestione privata. Il passare del tempo non gioca a favore delle infrastrutture. Meno si fa poco per volta, più l’intervento sarà costoso quando finalmente si deciderà di intervenire. Anche un’auto quando se ne cura la manutenzione dura più a lungo. Ma sulle infrastrutture idrauliche urbane si investe ancora troppo poco, e la possibile emergenza acqua resta sempre dietro l’angolo.

FONTE WWW.PANORAMA.IT